Versione casa Gialla |
I
racconti mi hanno sempre affascinata: aneddoti, morali, lieto fine mi fanno
questo effetto. Questi si archiviano nella mia mente sottoforma di piccoli
spettacolini e avviene lo stesso quando devo narrarli… alla fine mi ritrovo che
zompetto da una parte all’altra della stanza gesticolando e cambiando il tono
della voce; sarà forse merito/colpa di essere “figlia d’arte”, come disse il
mio professore di teatro facendo riferimento a quando mia mamma (sua alunna
quando lui era professore di francese) inventava storie strappalacrime (e lui
sì che pianse…) per evitare di essere interrogata.
Ad ogni
modo, tutto quello che mi viene raccontato a mo’ di storiella rimane ben
impresso nella mia mente sia che si tratti di argomenti sacri che profani.
Santa Lucia ed i rituali, seppur in gran parte assolutamente pagani,
legati al giorno della sua festa mi sono particolarmente cari, sarà perché lei
è la protettrice degli occhi… ed io sono assolutamente una talpa di prima
categoria (credetemi sulla parola, non costringetemi a raccontarvi di quando
parlavo con un peluche convinta che fosse Nannao -.-”””” Doh! L’ho appena fatto
>.<). Certo è che io la festeggio, ma lei mica mi sta facendo migliorare!
Non sarà mica che la festeggio un po’ troppo facendo il bagno tra arancine e
cuccia e mi ritrovo con l’effetto contrario?!?!?
La storia di
Santa Lucia viaggia tra verità e mito, Giuseppe Capodieci
nelle Memorie di S. Lucia scrive: «Occorre in quest'anno (1763) una
grande carestia sino al 9 gennaio, in cui suole esporsi il Simulacro di S.
Lucia, per la commemorazione del terremoto del 1693. Nel farsi al solito la
predica, esce di bocca al predicatore che S. Lucia poteva provvedere al suo
popolo col mandare qualche bastimento carico di grano. In effetti, il giorno
dopo, arriva dall'Oriente nel porto una nave carica di frumento e sul tardi un
bastimento, che era stato noleggiato dal Senato; poscia un vascello raguseo,
seguito ancora da altri tre, sicché Siracusa, con tale abbondanza che appare a
tutti miracolosa, può provvedere molte altre città e terre di Sicilia. Il
padrone di una delle dette navi dichiarò che non aveva intenzione di entrare in
questo porto, ma vi fu obbligato dai venti e seppe che era in Siracusa dopo
aver gettato l'ancora; aggiungendo che, appena entrato in porto, si era guarito
di una malattia agli occhi che lo tormentava da qualche tempo».
In Sicilia si racconta
che le navi furono prese d'assalto dalla gente che prese con sé il grano che
venne lessato e consumato senza altri ingredienti a causa della carestia.
La tradizione, quindi,
vorrebbe che il grano sia mangiato nel modo più semplice possibile…
Ma si sa, i cibi
festivi e rituali hanno sempre la tendenza a diventare sempre più
ricchi (non sono pochi quelli che chiamano il giorno di Santa Lucia “Arancina’s
Day”), così pian piano vennero accostati al grano i legumi, gli altri
cereali e… la carne, il formaggio, le patate, il cioccolato, i canditi e tanto
altro ancora sino ad arrivare alle infinite portate che vengono consumate ogni
anno durante questa festa. A casa mia, per esempio è raro che manchi il bollito
e mi sa che il grano, forse, l’ha visto passare solo l’animale mentre era
nell’allevamento!
Poi ci sono loro, i due
piatti "simbolo": cuccìa ed arancine (uff…
lo devo proprio scrivere??? Ok… anche dette arancinI… argh! :p). La
prima, il grano lo ha proprio come elemento base; la seconda… beh, lo ha visto
solo nella panatura (altra cosa che non andrebbe fatta, niente grano raffinato,
né tantomeno lavorato e lievitato per Santa Lucia!!!).
Parlando di cuccìa,
non sto qui a darvi la ricetta… vi dico solo questo: voi lessate il grano, poi aggiungete tutto quello che può renderla golosa
al vostro palato!
La troverete in tantissime case, ma mai preparata allo stesso modo,
si potranno usare gli stessi ingredienti, ma le proporzioni cambieranno
sempre!!!
Da me si usa così. La sera prima vengono preparate
quattro ciotole: la prima contiene il grano cotto (ben cotto), la seconda la ricotta frullata con poco zucchero, la
terza il cioccolato fondente
tagliato grossolanamente col coltello e la quarta la zuccata (zucca candita) a cubetti; poi ognuno decide il suo mix
perfetto! Morale, nemmeno tra i quattro componenti della famiglia esiste
una versione sola, vi dirò di più io stessa vario le proporzioni in base al
momento della giornata in cui la consumo.
Se non siete ancora convinti vi do una piccola
dimostrazione: in questo momento a casa abbiamo, oltre la “nostra versione”,
anche quella di casa di Nannao e quella di mio zio :)
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Versione zio Franco |
Altra piccola informazione, mica la cuccìa è solo siciliana e mica è legata solo a Santa Lucia! Già, si prepara anche a Tolve, a Brindisi di Montagna, a Potenza per la
Commemorazione dei Defunti, a Platì, in provincia di Reggio Calabria, per
la festa di S. Nicola (come avviene in alcuni paesini siciliani), a Muro
Lucano, a Picerno e a Tito la consumata il 1° di maggio come “cura
preventiva” in quanto, dicono, eviti la penetrazione di moscerini attraverso il
foro dell'ano o dei genitali.
Nonostante le passate diatribe sull’attribuzione della
provenienza della parola “cuccìa” , pare che oggi tutti siano d’accordo nel
farla derivare dal greco ta ko(u)kkía (ovvero “i grani”); sembra, inoltre, che in Grecia essa venisse già consumata in epoca già cristiana proprio
come cibo rituale per la commemorazione dei defunti. Dalla Grecia si è poi
diffusa in Europa orientale e verso l’Italia meridionale. La sua preparazione
ricorda la vivanda greca (kóllyva) a base di grano cotto mescolato con chicchi di melograno, uva passa,
farina, zucchero in polvere e altri ingredienti distribuita a fine messa per
glorificare i defunti, e la kutjà russa, che era a base di grano (o
miglio, orzo, riso) bollito.
Racconti su questa festa e sui piatti ad essa dedicati ce ne sono tanti altri, voi quali conoscete?
Racconti su questa festa e sui piatti ad essa dedicati ce ne sono tanti altri, voi quali conoscete?
Alcune fonti:
Vladimir Ja. Propp, Feste agrarie russe, Bari, 1978, p.
47. Angelo De Gubernatis, Storia
comparata degli usi funebri in Italia e presso gli altri popoli indo-europei, Milano, 1878, p.
50.
Maria Teresa Greco, Dizionario dei dialetti di Picerno e Tito, Napoli, 1991, pp.
168-169.
Alberto Vàrvaro, Vocabolario etimologico siciliano, Palermo, 1986,
vol. I, s. vc.
Buona rivisitazione della tradizione a tutti! ^_^
***Gialla***
Tutto molto interessante..e benchè io abbia abbondantemente gustato arancinI e arancinE , non ho mai gustato la Cuccìa e mi dispiace!!!Bacioni, Flavia
RispondiEliminaWow, che racconto !! Io non sono mai stata dale tue parti e non ho mai assaggiato le vostre delize e adire il vero, questo ciuccià non lo conoscevo proprio ;-)
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è da una vita che non la mangio. È buonissssssssiiiiima
RispondiEliminacomplimentiiiiiiiii
finalmente ho capito cos'è la cuccìa e considera che sono siciliana.ma qui nel messinese (o forse nel mio paese,non so) non è molto diffusa!domani voglio prepararla anch'io,ho tutti gli ingredienti tranne la zuccata,ma vedo che ognuno ci mette un po' quello che preferisce!grazie per il post!!!
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